La vita è stare in un letto con te, tutto il resto è soltanto attesa.

Misi in pausa il video lasciando un fighissimo Michael Fassbender appollaiato sul divano avvolto da un asciugamano e ripensando a quella frase appena pronunciata mi resi conto di come in pochissime, ma essenziali parole fosse racchiuso il senso di tutta una vita. L’afflizione a cui noi donne e forse anche gli uomini andavamo dietro da che gli ormoni si erano attivati in noi. Trovare l’amore, girare in tondo tutto il giorno tra lavori e menate varie e infine a letto con lui e bum fine del viaggio. Tutto molto semplice e sostanzialmente vero.

Sospirando voltai lo sguardo alla finestra. Pioveva da due giorni e le previsioni meteo non davano notizie rincuoranti nemmeno per la settimana a venire. Perturbazione proveniente da est. A quell’ora sarei dovuta essere al rifugio sul Resegone, seduta accanto ad un bel camino ardente a mangiare spezzatino con patate accompagnato da fiumi di buon vino e invece mi trovavo bloccata nella mia Milano grigia e umida a poltrire sul divano. Tornai al video e riguardando quell’uomo avvolto da un asciugamano, pensai che sì, anche io sarei rimasta volentieri a letto con lui, perché tutto il resto era solo una attesa noiosa di qualcuno che non si era mai più manifestato da che Marco se ne era andato a fanculo con la mia migliore amica.

Un addio avvenuto più o meno quattro anni prima e precisamente il giorno della mia laurea. Avevo raccolto tra le braccia un mazzo di fiori e insieme la loro confessione. Tutta la felicità della mia conquista universitaria si era annullata dietro a quella sorta di tradimento. Ma non era la prima volta che tutta la mia felicità venisse irrimediabilmente distrutta appena raggiunta. Era la legge divina o karmica se la si vuole chiamare così. Il saperlo però aveva i suoi vantaggi. Avevo imparato a non aspettarmi mai nulla, non eccedevo mai nel godere del vivere, e in generale non credevo negli affetti che si sgretolavano nelle mani come sabbia di mare. Qualcuno mi definiva pessimista, ma era un etichetta affibbiatami da falsi ottimisti. Ero solo una disincantata, una realista, al contrario di coloro che vivevano nell’illusione. Il metodo per riconoscere il pessimista si basa su una legge universale. Il piaggni e lagna. I pessimisti si lagnano, i disncantati ridono sarcasticamente alla programmazione con cui siamo stati cresciuti e condizionati.

In quel impigrirmi malinconico intercettai gli ansimi di una donna provenire dalla camera da letto dell’appartamento accanto. Scossi la testa sconsolata e recuperai le cuffie dal tavolino per non sentire altro. Come ogni domenica da quattro mesi a questa parte il mio vicino era all’opera con la donna di turno. Era ancora un mistero come riuscisse ad attenersi a certe prestazioni, come del resto lo era anche la sua persona che non avevo ancora avuto modo di incontrare. Questo fatto non mi aveva permesso di farmi un’idea più precisa di chi fosse e quale lavoro svolgesse. Il condominio dove abitavo sembrava abitato da fantasmi e raramente intercettavo qualche inquilino. Ma un sospetto però iniziava a balenare in me. Se fosse stata una donna anche senza vederla sarebbe stato lecito pensare si trattasse di una escort come le chiamavano garbatamente ai giorni nostri le troie, un modo per legittimare un mercantilismo vizioso. Oppure forse lo era lui,  ma non bissava mai, o meglio, non si era ancora ripetuto con nessuna delle donne e pertanto era ragionevole pensare che non fossero clienti fisse e per come ci dava dentro non credo mancasse in performance. Era ancora un mistero. Il “trivella” lo chiamava Carolina l’inquilina del piano di sopra, l’unica abitante intercettata di quel piccolo condominio al ticinese. Anche lei tormentata dai cori erotici del fine settimana e dei quali spesso ne discutevamo durante le serate di qualche talent show. Una sera avevamo anche stilato una lista suddividendola in categorie. C’erano le strillone, le teatrali, le cagne, le spiritate, le zombie, le valchirie, le stridule, le paurose, e le santificate, le migliori, almeno per me. Dio per loro era un cazzo. Io sinceramente non sapevo a quale categoria appartenevo, di solito dipendeva dall’uomo con cui stavo e naturalmente da quando lui, be’, fosse attrezzato e come dire, partecipe. Ma per certi versi forse anche io rientravo nella categoria santificate e anche un po’ spiritate, ma ormai era passata tanta acqua sotto i miei ponti da non ricordare più nemmeno la sensazione di essere trastullata da un uomo. Da tre anni non facevo più sesso e sinceramente non mi mancava a parte quei due o tre giorni dell’ovulazione durante i quali dentro di me si accendeva una voglia sfrenata, ma avevo imparato a dominare. Era solo la suggestione di un corpo fertile che necessitava di essere ingravidato e per ovviare al problema avevo affidato il compito di placare gli umori al mio fidato massaggiatore sonico. Efficace, pratico, preciso e con ben otto modalità.  Nessun coinvolgimento sentimentale, con lui l’unica precauzione era quella di non perdere il cavetto di ricarica usb dedicato.

Questa mia astinenza al genere maschile non era stata proprio una scelta voluta, conseguenza di qualche malvagia e triste esperienza negativa, era semplicemente una mia totale perdita di entusiasmo dovuta al lavoro che facevo. Lavoravo nella produzione di un canale satellitare come assistente alla regia di un noto programma dedicato al mondo trasfigurato del sesso. Negli ultimi cinque anni non c’era stato party, locale, set porno che non avessi visitato e analizzato da ogni prospettiva. Ne avevo viste e sentite di tutti i colori ed ormai, per deformazione professionale, la mia visione romantica del sesso era un lontano ricordo. Ovunque guardassi vedevo solo tutto in funzione del sesso. Locali speciali per incontri speciali, traffico di gnocca in hotel di lusso, Montenapoleone preso d’assalto da valchirie dell’est, sfigati senza dna di uomo vero dietro a culetti allegri e falsi sorrisi, siti internet dedicati, letteratura erotica, vademecum su come farlo, perché e come e quando e quanto, trasmissioni televisive atte solo a legittimare espedienti che alla fine erano solo un modo per colmare quel vuoto atavico che ci portavamo dentro da che eravamo venuti al mondo. Sentirsi veramente. Ormai il sesso era solo accoppiamento anatomico, un camuffamento di un atto che era solo teatralità questo grazie al delirio sociale legato ad esso. Oscar, il mio capo, diceva che sesso e amore erano due faccende separate e che dovevo imparare a distinguerle. Certo, certo. Era sposato da quindici anni e da quello che mi diceva faceva ancora l’amore con sua moglie. Quando però guardavo la sua bella pancia gonfia e le occhiaie sotto gli occhi non riuscivo proprio a pensarlo mentre faceva l’amore. Era più facile pensare che anche lui scopava ridicolmente senza fare davvero l’amore. Era più probabile che si fottevano giusto per farlo, per quel richiamo fisiologico. Come pisciare al mattino appena alzati.

Con il lavoro che svolgevo, le occasioni tuttavia non mancavano, ma gli uomini che incontravo potevo definirli tutta carne e basta. Per carità, bella carne e anche cari ragazzi, ma l’apparenza li limitava nel resto. L’insicurezza in loro era così evidente da non farmi nemmeno svestire. Bambini, piccole creature dentro corpi bellissimi e scolpiti.

Prima di infilarmi le cuffie e riavviare il video per tornare a consolarmi con il film mi concentrai qualche secondo per captare con quale categoria si stesse accompagnando il vicino. Intenta a inquadrare il soggetto delle attenzioni del vicino, mi arrivò un messaggio al cellulare da Carolina.

Cagna

Scoppiai a ridere e le risposi immediatamente.

Stavo giusto ascoltando per individuare la specie e mi hai anticipato

🙂 Cosa fai?

Guardo un film?

Che film?

The conseulor

Scendo

Ok

Due minuti dopo era davanti alla mia porta con un sacchetto di patatine e un cesto di birre.

“Benvenuta”, dissi prendendo le birre.

“Dov’è quel gran figo di Fassbender”.

“In soggiorno, ci sta aspettando”.

“Wow non vedo l’ora, ce la farà il nostro stallone?”.

Riversate le patatine in una ciotola e stappate le birre sprofondammo tutte e due nel divano. Carolina aveva due anni in più di me, ovvero, trenta, fisioterapista di professione e nel tempo libero dj per eventi. Era una tipa tosta, una di quelle donne che non si lascia intimorire da nessuno. Capace di stenderti con un colpo di kung fu alla velocità della luce. Questo però era ben celato dietro le sembianze di una piccola ragazza dallo stile molto inglese a parte i capelli rosa. La reciproca conoscenza era avvenuta in ascensore la prima volta e successivamente il mattino durante la colazione al bar sotto casa. Due parole, due battute e tra noi si era instaurato un buon rapporto di vicinato. Eravamo diventate un appuntamento quasi quotidiano per non sentirci sole.

“Certo che Cameron Diaz in questo film è davvero una strafiga, credo sia una delle sue migliori interpretazioni”, commentò Carolina sgranocchiando una manciata di patatine.

“Lo penso anche io, è una di quelle attrici che nel tempo migliora, un po’ come Mattew McConaughey”.

“Sì, vero, anche lui, sempre meglio. Quello più invecchia più diventa figo, ha fatto un patto con il diavolo”.

Ed ecco che nel momento topico del film gli ansimi della cagna tornarono a farsi sentire.

“Come diavolo fa’?”, domandò Carolina, “Secondo me prende qualcosa sostanza. E’ impossibile che abbia questo controllo. L’altro giorno parlavo con il mio ortopedico, mi raccontava di uomini affetti da anorgasmia”.

“Cioè?”, chiesi curiosa.

“Sì, come le donne, non riescono a raggiungere l’orgasmo, pare dipenda dall’ansia”.

“Non lo so”, mormorai. “Non avendolo mai visto e nemmeno provato non posso giudicare. Io più che altro mi chiedo come faccia lei, cioè io dopo venti minuti di trivellamento continuo mi si asciuga, brucia, va a fuoco. Qui dietro stanno andando avanti da un’ora. L’avrà farcita di gel, impossibile tenere quei ritmi, nemmeno nei film porno reggono tanto. o almeno io non so te e comunque non voglio saperlo…”.

Carolina si alzò dal divano e andò a colpire con un pugno il muro.

“Inutile”, borbottai stoppando il video. “Sai che inizio ad avere il sospetto che lui sia un accompagnatore, anche se è impossibile, le tizie sono sempre diverse. Di solito se uno lavora bene ha sempre un ritorno di clientela. Ne ho parlato anche con il mio capo e non è riuscito a darmi una spiegazioni logica”.

Dopo il colpo assestato da Carolina, la cagna sembrò reprimere le proprie grida, ma solo per qualche secondo, poi tornò il suo ululato.

“Non ci avevo mai pensato”, disse lei. “Comunque non credo proprio sia un accompagnatore. L’ho incrociato ieri, almeno credo sia lui. Era in cantina”.

“Racconta”, dissi entusiasta.

“Non lo so, cioè era dentro la sua cantina e io stavo tirando fuori la bicicletta l’ho solo visto di spalle, ma sinceramente non potrei dire che fa quel mestiere”.

“Guarda, l’apparenza inganna. Dovresti vedere gli uomini improbabili sui set del film porno. Alcuni sono veramente sciatti, ma appena tirano giù le mutande mostrano un lato di sé che vale mille, forse la sua dote è quella e soprattutto il fatto che è da prestazione da record”.

Carolina scosse la testa. “Lascia stare. Non farmi pensare ai piselli. Stamattina ho trattato il signor Precotti e come al solito mentre gli lavoravo il ginocchio gli si è alzato il pisello. Ormai ha superato i settanta ma sotto ha un arnese lungo. Da impressione”.

In quel momento pensai al set porno per gli over sessanta ricordandomi di Benjo, così si faceva chiamare Osvaldo. Aveva superato i sessanta da diversi anni e ancora riusciva a farselo alzare senza pillola. Un vero veterano del porno. Aveva iniziato intorno ai vent’anni. Si definiva un “cazzuto”, mai termine migliore poteva rappresentarlo.

All’improvviso i gemiti si azzittirono di colpo e qualche secondo dopo udimmo la porta di casa del vicino chiudersi. Senza dirci una parola tutte e due ci fiondammo al balcone della mia stanza, curiose di dare un volto al vicino o alla tizia che si era appena fatta trastullare. Pioveva, ma chi se ne importava. Strizzate una vicina all’altra nel mezzo metro di terrazzino aspettammo di vedere chi usciva dal portone. E niente. Il taxi in sosta davanti al passo carraio era coperto in parte dal balcone del primo piano. E infatti non vedemmo niente se non l’auto fare retromarcia e sparire lungo il naviglio.

“Non capisco”, disse Carolina confusa rientrando in casa.

“Cosa?”, chiesi.

“Niente, è strano. Insomma, un secondo prima gemeva e un secondo dopo era sul ballatoio del condominio. Era già vestita? Lui anche? Cioè erano vestiti. E poi è uscito lui o lei? Non mi tornano i tempi. Io prima di uscire sarei andata in bagno…”.

Effettivamente il dilemma di Carolina aveva senso, ma appena rividi Fassbinder alla televisione optai per altri pensieri lasciando cadere il discorso detective in merito al vicino trombone.

“Dài non ci pensare, finiamo il film poi se ti va stasera possiamo andare a mangiare una pizza e a berci qualcosa al solito posto”.

“Volentieri”, disse Carolina zompando sul divano.

… to be continued…

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